History of the Peloponnesian War
Thucydides
Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.
Inoltre il trasporto dei viveri che prima da Oropo traversando Decelia, era per terra più sollecito, riusciva assai dispendioso per mare dovendosi girar Sunio; e la città era mancante affatto di tutte le cose che vengono di fuori, e piuttosto che città era diventata una fortezza. Imperciocché gli Ateniesi di giorno facevano a vicenda la guardia su gli spaldi, e la notte tutti, eccetto la cavalleria, erano in fazione, chi ai corpi di guardia, chi sulle mura; onde erano travagliati di state e di verno. Principalmente poi gli opprimeva l’aver due guerre ad un tempo: ed eran venuti a tal pertinacia che chi l’avesse sentita raccontare senza vederla in fatto, non l’avrebbe creduta. Ed invero che altro potea dirsi se non pertinacia il non voler partire di Sicilia mentre erano assediati dalle fortificazioni dei Peloponnesi, e lo stringere per egual modo con altro assedio Siracusa, città di per sè sola non inferiore ad Atene, e l’aver fatto maravigliare i Greci delle loro forze e del loro ardire (in quanto che al cominciamento della guerra alcuni credevano che gli Ateniesi avrebbero potuto resistere un anno, qualora i Peloponnesi invadessero il loro territorio, altri dicevano due, altri tre al più, e nissuno un maggior tempo), a tal segno che diciassett’anni dopo la prima invasione andarono in Sicilia logorati ornai iu tutto dalla guerra ; e per giunta un’altra ne impresero nou minore di quella che già avevano
col Pelopouneso ? E per ciò, e pei gravi disastri che soffrivano da Decclia, e per le altre grandi spese eli e occorrevano, trovaronsi scarsi di denaro; ed in questo tempo , in luogo del tributo, tassarono i loro sudditi della vigesima parte delle merci che venissero per mare, sperando che cosi accrescerebbero l’entrate del comune. Imperciocché le spese non eran più le stesse di prima, ma eran diventate assai maggiori, perché maggiore era la guerra; e l’entrate venivano mancando.Gli Ateniesi adunque non volendo fare spese in quella penuria di denaro, rimandarono subitamente i Trari giunti troppo tardi per Demostene, e ordinarono a D»itrefe di ricondurli, al quale dissero che siccome doveano attraversare l’Euripo, così nel trascorrer le coste de’ nomici vi facesse fare il maggior guasto possibile. E Diitrefe fece loro pigliar terra a Tanagra ove prestamente accolse del bottino, e sulla sera da Calcide dell’ Eubea tragittò l’Euripo, sbarcò i Traci nella Beozia, e li condusse contro Micalesso , e pernottò inosservato presso il tempio di Mercurio distante da Micalesso circa sedici stadii. Spuntava appena il giorno quando venuto sopra la città che era grande la espugna, perocché i cittadini non erano preparati a quell’assalto, e non si aspettavano che veruno a tanta distanza dal mare volesse venire ad attaccarli ; e le mura eran deboli ed in qualche punto rovinate, e basse in qualche altro ; e le porte stavano aperte perchè di nulla si temeva. I Traci adunque precipitatisi in Micalesso, saccheggiavano le case ed i templi , facevano strage delle persone, non risparmiando nè la più vecchia nè la più giovine età , e chiunque di mano in mano incontravano tutti uccidevano , fanciulli e donne, e persino i giumenti ed ogni altro animale che scorgessero ; conciossiachè la razza de’ Traci (come sogliono fare tutte le genti più barbare) quando 4ia preso ardire è micidialissima. Laonde fuvvi allora
ogni sorta di grave scompiglio, ed ogni maniera di morte ; perchè gettatisi dentro una scuola che ivi era vastissima , e dove erano entrati di poco i fanciulli, tutti li fecero in pezzi ; talché l’intera città fu assalita da imprevista e terribile sciagura non minore di qualunqu’ahra.Come i Tebani sentirono la cosa accorsero in aiuto, e trovati i Traci non molto dilungati dalla città , ritolsero ad essi il bottino, e spaventatili gl' inseguirono (ino adEuripo ed al mare ove stavano le navi che li aveano condotti, ed uccisero moltissimi tra loro non avvezzi al nuoto mentre volevano risalirvi sopra, avvegnaché quelli rimasti sui navigli, quando videro quel che accadeva in terra , si erano allargati oltre il tiro dell’arco. Del rimanente, nella ritirata da Micalesso sino al mare i Traci scorrendo innanzi rannodati si difesero bravamente dalla cavalleria tebana serbando la loro usata ordinanza , e pochi allora ne furono uccisi, se si eccettuino quelli che perirono propio in città sorpresi per la cupidigia del saccheggio. Morirono ia tutti dugento cinquanta Traci di mille trecento che erano ; dei Tebani e degli altri accorsi in aiuto ne mancarono venti tra cavalieri e soldati gravi, e con essi Scirfonda (ebano beotarco ; e restò pure uccisa una parte dei Micalessii. Tale fu la calamità di Micalesso, certamente non meno deplorabile di verun’altra nel corso di questa guerra, se si voglia riguardare alla grandezza di quella città.
In quel tempo Demostene, dopo la costruzione del forte della Laconia partendo per Corfù, incontra a Fia degli Elei una nave da carico che stava all’ancora, con a bordo i soldati gravi de’Corintii che aveano a tragittare in Sicilia, e la fracassa : ma le persone scamparono, e trovata poi un’altra nave proseguirono il corso. Quindi arrivato egli a Zacinto ed a Cefallenia prese seco i soldati di grave armatura, fece venire da Naupatto alcuni Messenii, e passato in terraferma di faccia all’Acarnania venne ad Àlizia e ad
Auactorio occupato dagli Ateniesi. E mentre era in questi luoghi gli viene incontro Eurimedonte di ritorno dalla Sicilia , ove nell’ inverno era stato mandato a portar denari all’esercito , come dicemmo, e gli dà conto tra l’altre della presa di Plemmirio eseguita dai Siracusani, e da lui intesa durante la sua navigazione. Giunge poi da loro Conone comandante a Naupatto, annunziando come le venticinque navi dei Corintii che contr’essi stavano alle vedette, non solo non desistevano dalla guerra, ma erano auzi in proemio di venire a battaglia, e però li pregava a spedirvi altre navi, stante che le loro diciotto non erano sufficienti a combattere le venticinque corinlie. Il perchè Demostene ed Eurimedonte spediscono con Conone dieci navi delle più veloci che seco avevano , le quali doveano aggiungersi a quelle di Naupatto ; e davano ordine a fare l’accolta delle genti. E per questo Eurimedonte (che vollato indietro il cammino esercitava ornai con Demostene il comando al quale era sialo elelio) navigò a Corfù, ordinando ai Corfuotti di armare quindici navi ed arruolare soldati gravi ; e Demostene adunava frombolieri e saettatori dai dintorni dell’Acarnania.
Ma poiché i legati de’ Siracusani andati dopo la presa di Plemmirio alle diverse città, le ebbero persuase; e poiché già erano sul punto di condur via l' esercito radunatovi , Nicia che ciò avea presentito spedisce ai Siculi padroni dei passi ed agli alleati Centoripii ed Alicicei e agli altri, acciò non lasciassero traversare i nemici, ma riunitisi insieme contrastassero loro il passaggio , che per altra via nemmeno lo tenterebbero , da che gli Agrigentini avean ad essi disdetto di trapassare pel loro territorio. E già i Siciliani eraao in cammino, quando i Siculi che a petizione degli Ateniesi aveano teso loro una triplice imboscata, assaltarono all’ improvviso gl’incauti f ne uccisero da ottocento e tutti i legati, salvo quello di Corinto,
che condusse a Siracusa quei che la scamparono, i quali furono intorno di ìnille cinquecento.Verso questi medesimi giorni arrivano in soccorso ai Siracusani anche i Camarinei con cinquecento soldati gravi» trecento laudatori ed altrettanti arcieri ; ed i Geloi mandarono uu’armatetta di cinque navi, quattrocento laocialori e dugeuto cavalli ; perocché ornai quasi tutta la Sicilia teneva con loro, tranne gli Àcragantini che restavano neutrali : e gli altri che prima erano stati a vedere si unirono d’accordo con essi contro gli Ateniesi. Contuttociò i Siracusani si tennero dall’assalire subito gli Ateniesi per la perdita sofferta nel territorio dei Siculi. Tornando ora a Demostene ed Eurimedonte, non sì tosto ebbero in concio le genti riunite da Cor fu e dalla terraferma, che valicarono con tutto l’esercito il mare ionico fino al promontorio iapigio ; e partiti di là dettero fondo nelle isole Cheradi della Iapigia. Ivi tolsero su le navi circa centocinquanta lanciatori iapigii della razza messapia; e rinnuovata un’antica amicizia con Arta (il quale come s:gnore del luogo avea somministrato loro i Innriatori) vengono a Metaponto dell’Italia. E persuasi gli abitanti di questa citta per titolo d’alleanza a maudar con loro trecento lanciatori e due triremi , proseguirono il corso fino a Turio, ove trovano sbanditi di recente per »edizione quei della parte contraria agli Ateniesi. E siccome volevano farvi la massa di tutto l’esercito, per vedere nella rassegna se alcuno fosse rimasto indietro , e persuadere i Turii ad unirsi di buon animo con loro, e ad avere gli stessi amici e nemici con gli Ateniesi, da che si offriva loro una sì bella congiuntura ; così sopraslavauo in Turia e si davano cura di queste cose.
Intanto i Peloponnesi e quelli che circa questo tempo colle venticinque navi stavano aringati di faccia alla flotta di Naupatto per proteggere il passaggio delle
onerarie in Sicilia , si preparavano a combattere. E avendo armate delle altre navi, tanto che erano poco meno di quelle ateniesi, presero stazione ad E rineo di Acaia nel distretto di Ripe, in nn luogo falcato a guisa di luna. La fanteria de’Corintii e degli alleati venuti in rinforzo era schierata ai due lati su le due punte che sporgono in mare, e le navi sotto il comando di Poliante corintio tramezzavano serrandone l’ingresso. Gli Ateniesi vogarono sopra loro da Naupatto con trentatrè navi capitanate da Diiilo ; ed i Corintii che da primo stavano fermi, quando parve lor tempo, alzato il segnale, mossero impetuosamente contro gli Ateniesi, ed appiccarono la battaglia. Lunga fu da ambe le parti la resistenza ; tre navi dei Corintii vi furono sfragellate; gli Ateniesi nou ne ebbero veruna del tutto sommersa, ma sette furono ridotte inservibili, perchè, urtate di fronte nella prora dalle navi corintie (che per questo appunto erano fornite di più grossi orecchioni), rimasero sfasciate nella parte anteriore ove non son remi. E per quanto combattessero con egual vigore, talché entrambi si attribuirono la vittoria , nondimeno gli Ateniesi s’impadronirono dei rottami delle navi, e poi spinti dal vento ueiralto , ed i Corintii non movendo più contro loro, le due armate si separarono , senza inseguirsi e senza far prigionieri. Imperciocché i Corintii ed i Peloponnesi che combattevano dalla parte di terra agevolmente si salvarono, e nessuna nave fu colata a fondo dalla parte degli Ateniesi. E tornati questi a Naupatto, i Corintii ersero subito il trofeo come vincitori perchè aveano rese inservibili un maggior numero di navi nemiche ; giudicando di non essere stati vinti per quella medesima ragione che gli altri di non aver vinto : attesoché i Corintii reputavano vittoria il non essere stati battuti vistosamente , e gli Ateniesi stimavano perdila la vittoria non completa. Parliti che furono i Peloponnesi e sbandatasi la loro fanterìa, gli Ateniesi a neh’essi, come vincitori, alzarono nell’Acaia un trofeo distante circa venti stadii da E rineo, ove aveano preso stazione i Corintii. Tale fu l’esito di questa battaglia navale.Demostene poi ed Eurimedonte , tostochè i Tu rii furono in ordine per unirsi a loro con settecento soldati gravi e trecento laudatori, comandarono alle navi di avanzarsi lungo la costa fino alla spiaggia crotoniaca ; mentre essi, fatta prima la rassegna delle genti da piè presso il fiume Sibari, le conducevano attraverso il territorio di Turia. E giunti che furono sul fiume Uia, i Crotoniati mandarono ad essi significando che non sarebbe di loro volontà il passaggio dell’esercito per le loro terre ; e però calarono al piano e pernottarono presso al mare alla foce del fiume Ilia , ove furono incontrati dalle navi. Il dì seguente imbarcatisi costeggiavano, fermandosi alle diverse città ( tranne i Locrii ) finché pervennero a Petra del contado di Reggio.
In questo i Siracusani informati che l' armata nemica era in corso contro loro, pensavano di provarsi da capo a combattere con le navi e con le forze di terra che a quest’oggetto adunavano , per prevenire l’arrivo di quella. Apparecchiavano tutto il bisognevole per ]a flotta nel modo che dal passato combattimento aveano compreso dover riuscire più utile, scorciavano le prore alle navi per renderle più ferme, e vi applicavano dei grossi oretv chioni, dai quali partivano dei puntelli di circa sei cubiti all’ interno e all’esterno del bordo, in quella guisa medesima che i Corintii fornirono le loro uavi da prora, e combatterono contro la flotta di Naupatto. Discorrevano essi che siccome le navi nemiche uon erano costruite in quella foggia , ma aveano deboli le prore, avvegnaché usassero non di assalire con queste di fronte, ma facendo le volte '9 così e' non sarebbero in peggior condizione. Seuza
di che la battaglia che non con molte navi seguirebbe nel porto grande (spazio non troppo ampio) tornerebbe a loro vantaggio ; perchè andando all’assalto colla fronte delle navi, sfascerebbero le prore nemiche col dar dentro coit saldi e grossi rostri, ad esse vuote e deboli. All’opposto gli Ateniesi in quel luogo stretto non potrebbero nè volteggiare nè tramezzare (due manovre nelle quali soprattutto confidano), stàntechè essi a tutta possa non permetterebbero loro di tramezzare , e la ristrettezza del luogo gl’ impedirebbe dal volteggiare. Il modo da tenersi nella battaglia sarebbe più che altro quello attribuito prima all’ imperizia de’ piloti, cioè, l’urtarsi di froute prora contro prora : imperciocché i nemici, venendo respinti, non avranno altra ritirata che verso terra , e questa a breve distanza e in luogo augusto, propio presso l’accampamento. Del rimanente del porto sarebbero padroni essi Siracusani ; e qualora i nemici fossero incalzati a forza , col loro riunirsi in un medesimo luogo e ristretto , urtandosi tra loro isaranno in iscompiglio. Ed in fine (ciò clic principalmente nocque agli Ateniesi in tutte le battaglie navali , non potendo essi retrocedere in tutto il porto come i vSiracusani ) se volteggiando volessero trarsi al largo , non potrebbero farlo, essendo essi padroni di vogar contro loro dall’alto e di cacciarli indietro ; tanto più che sarebbero infestati anche da Plemmirio , e la bocca drl porto non era grande.Con questi nuovi disegni aggiunti alla perizia e forza loro, i Siracusani inanimiti ornai maggiormente dalla passata battaglia andavano ad assalire gli Ateniesi dalla parte di terra , e al tempo stesso colle navi. Gilippo poco prima condusse fuori di città le genti da piè , e le avvicinò al muro degli Ateniesi dalla parte che guardava Siracusa , e i soldati gravi e leggeri ed i cavalli siracusani che erano nell’Olimpico vi si appressarono dall’altra parte.
Dopo questo le navi de’ Siracusani e degli alleati usciron subito fuori ; e gli Ateniesi, i quali in principio credevano che i nemici volessero solo cimentarsi colle genti di terra, vedendo improvvisamente venirsi incontro anche le navi, rimasero perturbati. Ed alcuni si schieravano sulle mura e fuor delle mura a fronte del nemico che si appressava ; altri uscivano ad opporsi ai numerosi cavalli e lanciatori che dall’Olimpico e da altri luoghi al di fuori si avanzavano a gran passi ; altri finalmente armavano le navi ed insieme scendeano in soccorso alla spiaggia. E poiché ebbero armate le navi presero Falto con settantacinque, contro quelle de’ Siracusani che erano ottanta.
E dopo essersi investiti e respinti scambievolmente con la flotta per buona pezza del giorno, c dopo mutui sforzi, senza che veruna delle pa^ti potesse ottenere nulla che valga la pena d’esser narrato (se non fosse che i Siracusani affondarono una o due navi ateniesi), si separarono ; e le genti da pié partirono dai muri. Il giorno dopo i Siracusani stavano quieti non volendo dare a divedere quello che meditavano di fare. Ma Nicia, che avea visto bilanciato l’esito della battaglia, e che si aspettava che i nemici vorrebbero tentarla nuovamente, costringeva i trierarclii a racconciare le navi, se alcuna avesse in qualche cosa sofferto, e dinanzi alla propria palizzata piantata nel mare per servire alle navi a guisa di porto serrato , metteva all’ancora le onerarie, e le collocava alla distanza di dugento piedi tra loro ; acciocché qualunque nave venisse incalzata avesse un sicuro ricovero, e di bel nuovo potesse poi a bell’agio ritornare alla battaglia. Gli Ateniesi impiegarono tutto il giorno fino a notte perseverando in questi apparecchiamenti.
Il dì seguente i Siracusani a più buon’ ora ma coni l’istessa disposizione del Fassa Ito dalla parte di terra e di mare si azzuffarono con gli Ateniesi. E stando le due
flotte l’uiia contro l'altra, passarono da capo nell’istesso modo gran parte del giorno badaluccando ; Cliché A listone di Pirrico corintio, il miglior timoniere di quanti erano co' Siracusani, persuade i comandanti della sua flotta che dovessero mandare ai reggenti della città, confortandoli a trasmutare il mercato delle cose vendevoli portandolo lungo il mare, ed astriguere chiunque avesse robe mangerecce a trasferirle in vendita colà, affinchè sbarcate ivi le truppe potessero desinar subito presso le navi, e nuovamente dopo breve ora in quel giorno stesso assalire gli Ateniesi che non se l’aspetterebbero.E i capitani da lui persuasi spedirono l’avviso, e fu preparato il mercato ; onde i Siracusani repentinamente remigando da poppa senza girar di bordo, si avviarono verso la città , e sbarcati tosto a terra vi desinarono. Gli Ateniesi pensarono che si fossero ritirati verso la loro città come sconfitti; e scesi tranquillamente dalle navi apprestavano tra le altre cose il pranzo , credendo che in quel giorno non seguirebbe più la battaglia. Quand’ecco che i Siracusani risditi a un tratto sulle navi muovevano un’ altra volta verso loro ; ed essi in mezzo a gran tumulto, digiuni la maggior parte, montavano nelle triremi senz’ordine veruno, e finalmente a gran pena vogavano contro al nemico. Si tennero qualche tempo le due armate in guardia l una dell’altra ; ma poi gli Ateuiesi, innanzi di trovarsi ivi sorpresi da spossamento coir indugiare per propria colpa, risolsero di assalire prestissimamente i Siracusani, e spintisi loro incontro tra le grida di incoraggiamento appiccarono la battaglia. Ma i Siracusani reggevano a quella furia, ed opponendo le prore, siccome aveano disegnato, con quel fornimento di rostri ne sfracellavano le navi nella parte dinanzi ove non son remi , ed i lanciatori di sulla coverta fàceano agli Ateniesi gran danno, e maggiore di essi quei Siracusani che sopra
nelle chiatte volteggiando entravano sotto al palamenti delle triremi nemiche, e ne rasentavano i fianchi, e saettavano da quelle i marinari. «Alla fine i Siracusani combattendo in questa guisa vigorosamente furono vincitori, e gli Ateniesi volti alla fuga, cercavano rifugio nella loro stazione di mezzo alle onerarie fin dove furono inseguiti dall’armata nemica: la quale fu impedita di procedere più oltre dalle antenne che ritte sulle onerarie stesse, ed armate di un ordigno di piombo'fatto a modo di delfino, difendevano gli spazi onde si andava all’alloggiamento. E due navi siracusane, che gonfie della vittoria si appressarono a quelle, furono spezzate, ed un’altra presa con la ciurma. I Siracusani colarono a fondo sette navi ateniesi, e molte ne guastarono ; e fatti molti prigioni ed uccisa molla gente si ritirarono ; alzarono i trofei delle due battaglie navali , ed avevano ornai ferma speranza di essere superiori nella flotta, e stimavano che vincerebbero ancora l’esercito di terra. Però si preparavano ad assalire nuovamente il nemico da amendue le parti.
In questo arrivano Demostene ed Eurimedonte col rinforzo degli Ateniesi, cioè, settantatrè navi in circa contando anche quelle forestiere, e cinque migliaia o in quel torno di soldatesca grave, tra di loro e degli alleati, e non pochi lanciatori barbari e greci, e frombolieri e arcieri, e sufficiente apparecchio d’ogni mauiera. Grande fu di presente lo sbigottimento de’Siracusani, quasi che non avessero mai a venire a capo di liberarsi da quel pericolo, vedendo che sebbene Decelia fosse stata munita , era giunto un altro esercito poco men che eguale al precedente, e le forze ateniesi per ogni lato comparivano molte. Ma l’oste degli Ateniesi che ivi era di prima riprese un po’ coraggio, secondo che il permettevano le sue disgrazie. E Demostene visto lo stato delle cose credè non
essere da indugiare, per non trovarsi al caso a che s’era trovato Nicia ; il quale in principio venuto colà formidabile ai nemici, poiché non assaltò subito Siracusa ma andò a svernare in Catana, era caduto in dispregio, ed era stato prevenuto da Gilippo arrivato colà colle forze del Peloponneso, le quali i Siracusani non avrebbero pur chiamate se egli tosto li avesse assaliti. Essendoché i Siracusani con tutta Topinione della propria sufficienza avrebbero imparato che eran da meno, e sarebbono stati riserrali dalle fortificazioni ; onde sebbene avessero fatto venire un rinforzo , non poteva più esser loro della medesima utilità. Demostene adunque considerando queste cose, e vedendo che anch’egli al presente era di grandissima paura ai nemici nel primo giorno, voleva al più presto valersi di quel loro sbigottimento. E però osservando che il muro trasversale de9 Siracusani, col quale aveano impedito agli Ateniesi di attorniarli, era scempio; e che potendo farsi padroni della montata d’Epipole e poi del campo che ivi era, facilmente si sarebbe espugnato (avvegnaché nissuno avrebbe fatto retta contr’essi), si affrettava di metter mano a quell’ impresa, e teneva che prestissimo arebbe fine la guerra. Perciocché, o riuscendo s’impadronirebbe di Siracusa, o altrimenti ritirerebbe l’esercito, e non si logorerebbero inutilmente gli Ateniesi, e con loro gli altri confederati, e tutta la Repubblica. Pertanto gli Ateniesi primieramente scesi dalle navi guastavano le circostanze dell’Anapo; ed il loro esercito, come la prima volta, fu vincitore in terra e in mare, stante che i Siracusani non uscirono contr’essi da veruna parte , salvo la cavalleria ed i lanciatori dall’Olimpico.Volle poi Demostene tentar prima con le macchine le fortificazioni, ma le macchine appressatevi furono abbruciate dai nemici che di sul muro si difendevano , e il rimanente dell’esercito che dava l’assalto venne retro-
spinto. Laonde si dispose a non uieIter più tempo in mezzo, e persuasi ÓNicia e gli altri colleglli si accingeva ad assalire Epipole conforme avea divisato. Se non che giudicava impossibile l’accostarvisi e salirvi di giorno senza essere scoperto. Però intimato ai soldati di portare i viveri per cinque giorni , prese seco tutti i manovali e muralori ed ogni altro apparato di saettarne , e quanto facea bisogno per fabbricare se s’impadronissero del luogo ; e in sul primo sonno, seguito da Eurimedonte e Mennndro e da tutto l’esercito, marciava verso l'Epipole. INicia rimase dentro le trincee. Arrivarono presso YEpipole dalla parte di Eurielo (per dove sali la prima volta il precedente esercito) senza essere avvertiti dalle sentinelle siracusane; ed accostatisi al muro che ivi era lo espugnano, ed uccidono alcuni della guarnigione. Ma la maggior parte de’neraici rifugiatisi subito negli alloggiamenti che sull’ Epipole erano tre, uno de’ Siracusani, uno degli altri Siciliani ed uno degli alleati, annunziano l’assalto, c ne porgono avviso a quel secento Siracusani che da questo lato dell’Epipole erano il primo presidio. Accorrevano questi prontamente ; e Demostene e gli Ateniesi incontratisi in loro, nonostante una coraggiosa resistenza, li cacciarono in fuga, e tosto si spingevano innanzi, non volendo in quell’ impeto tardare ad eseguir ciò per cui erano verniti. Intanto altri compivano l’espugnazione del muro assaltato al primo arrivo, ove il presidio siracusano non tenne fermo, e ne svellevano i merli. Già i Siracusani e gli alleati, e Gilippo con le sue genti dai ripari della città correvano a soccorso , e sbigottiti dall’ imprevisto ardimento di quella notte si azzuffarono con gli Ateniesi, e da loro respiuti cominciavano a dare indietro. Ma poi gli Ateniesi avanzandosi troppo disordinatamente come viucitori, e volendo senza indugio spingersi contro tutto l’esercito nemico ove non si era combattuto, perchè non potesse rannodarsi se rallentassero quella furia , trovaronsi a fronte i Beozii attestati, dai quali assaliti e rotti furono costretti a fuggire.E già gli Ateniesi trovavansi allora in gran disordine ed imbrigamento, tra cui non era facile sapere gli uni dagli altri i particolari andamenti delle cose. Conciossiachè se di giorno allorché i fatti sono più appariscenti, nondimeno neanche quelli stessi che vi si son trovati non li sanno tutti, e solo ciascuno sa a fatica quello a che ebbe mano ; come mai in una battaglia notturna (che tra due grandi eserciti intervenne solo in questa guerra) poteasi aver certezza di nulla ? Splendeva, è vero, la luna ; ma come è solito al chiarore di essa vedevansi scambievolmente in modo da scorgere la figura di un corpo, senza però discemere con sicurezza se fosse quel d’un amico. Inoltre grande era la moltitudine de’ soldati gravi d'amendue gli eserciti, che si aggiravauo in quel luogo angusto. E già alcuni degli Ateniesi erano vinti, altri marciavano tuttavia interi col primo impeto, e grau parte del rimanente dell’esercito o erano saliti d’allora sull’ Epipole, od ancor vi salivano ; onde non sapevano dove rivolgersi, perchè le loro genti che prime aveau menato le mani erano ornai tutte fugate e sbaragliate , e difficile era il riconoscerle in mezzo a quelle grida. Imperciocché i Siracusani e gli alleati nel bollor della vittoria s’incoraggiavano con alti urli, non potendo di notte darsi altro segnale, ed insieme sostenevano l’incalzante nemico ; e gli Ateniesi si cercavano tra loro, e credevano nemici tutti quei che si avanzavano incontro, fossero anche amici, siccome lo erano quelli che già fuggivano addietro. E fitto fitto domandandosi la parola ( non v’essendosi altro modo di riconoscersi ), causavano a sè stessi grave disordine col domandarla tutti ad un tempo, tanto che la resero nota anche ai nemici, senza sapere del pari qual fosse la loro; perchè quelli, come
vincitori , combattendo riuniti, più agevolmente si conoscevano. Cosicché se gli Ateniesi anche superiori di forze s’abbattevano in alcuni dei nemici, questi si salvavano perchè sapevano la parola di loro ; all’opposto se essi non rispondevano venivano trucidati. Quello però che più d’ogni altro nocque loro grandissimamente fu la cantilena del Peana, che essendo quasi la stessa da tutte e due le parti, gli metteva nell' incertezza ; perciocché quando gli Argivi ed i Corfuotti, e quanti Dorici eran con gli Ateniesi , cantavano il Peana , incutevano loro timore del pari che i nemici. Onde alla fine poiché una volta si furono disordinati, raffrontandosi insieme in molte parti del campo , amici con amici, cittadini con cittadini, non solo recavansi in paura, ma venuti ancora alle mani tra loro a gran pena si separavano, ed inseguiti dal nemico, molti si precipitavano giù dalle rupi e morivano ; essendo angusta la via per ricalare dall’Epipole. La maggior parte di quelli che dall’alto poterono scender nella pianura a salvamento , e tutti quelli che erano del primo esercito , per la pratica che aveano del paese si ricondussero nell’alloggiamento ; gli altri però venuti dopo, o smarrite le strade vagavano per la campagna, o venuto il dì erano uccisi dai cavalli siracusani che scorrevano all’ intorno.Il giorno appresso i Siracusani ersero due trofei, uno sull’ Epipole ove era salito il nemico, l’altro nel luogo ove i Beozii aveano i primi fatto resistenza. Gli Ateniesi riebbero i cadaveri con salvocondotto. Molti furono i morti di loro e degli alleati, e le armi prese furono in maggior quantità de9 cadaveri , perchè di quelli astretti a saltar giù da’dirupati, scossi degli scudi, alcuni perirouo, alcuni si salvarono.
Dopo ciò i Siracusani rinvigoriti, come la prima volta, da quella inaspettata fortuna y spedirono con quindici navi Sicauo ad Acragante che avea levato romore,
affinchè tentasse di sottomettere quella città. E Gilippo scorreva nuovamente per terra la Sicilia , per cavarne altre genti; perchè dopo il fatto dell' R pi poi e, era venuta nella speranza di espugnare anche le fortificazioni deeli Ateniesi.Frattanto i generali ateniesi andavano discorrendo della passata sciagura e della presente universal debolezza dell’esercito. Vedevano tornati invano i loro sforzi, ed i soldati gravati di quella stanza, attesoché erano afflitti dalle malattie per due cagioni; sì perchè correva la stagione dell’anno nella quale principalmente gli uomini infermano , sì eziandio perchè il luogo ove erano alloggiati era paludoso ed insalubre ; ed a ciò si aggiugneva che tutti gli altri tentativi pareano loro disperati. Per lo che Demosteue giudicava non esser più da rimanere ; ma da che era fallita T impresa dell9 Epipole da lui disegnata e tentata , proponeva che senza indugio si cercasse una strada di mezzo ai nemici , mentre che potè vasi ancora tragittar il mare f e colKaggiunta almeno delle navi sopravvenute superare l’armata nemica. Diceva esser più vantaggioso alla Repubblica far la guerra contro quelli che edificavano munizioni nelle terre di lei, innanzi che contro i Siracusani, i quali ornai non potevano agevolmente sottomettersi ; e non esser ragionevole il fermarsi più a lungo in quell’ assedio spendendo senza prò gran copia di denaro. Tale era la mente di Demostene.