History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Ateniesi, i Lacedemoni ci inviarono qua per trattare, a riguardo dei nostri intercetti nell’ isola, di cosa che vi persuaderemo essere ad un’ ora utile per voi, e decorosissima per noi in questa sciagura, quanto il consentano le cose presenti. E se alquanto ci allungheremo in questa materia , ciò non sarà contro l' usato, mentre è nostro patrio costume non usar molte parole, ove poche bastino; ma al contrario moltiplicarle, ove l’opportunità richieda che dichiarando cose gravissime s’abbia colle parole a procacciare quanto occorre. Ricevetele adunque non inimichevolmente, nè come un ammaestramento quasi foste gente grossolana , ma abbiatele a suggerimento di diritta deliberazione come a gente oculata. Ed invero sta in voi di bene accomodare la presente prosperità col ritener quel che avete , far nuovo acquisto di onore e di gloria, e schivar ciò che interviene a coloro che inusitatamente ottengono qualche bene ; i quali mossi dalla speranza sempre anelano a cose maggiori, appunto perchè di presente prosperano all’ impensata : dove coloro che imbatterono nelle molte vicissitudini dell’alternante fortuna , sono a buon dritto diffidentissimi delle felicità. Ciò

che convenevolmente deve per esperienza essere proprio sopra tutto della vostra Repubblica e di noi.

« Ed apprendete ciò per la veduta delle nostre? presenti calamità. Noi tenuti in grandissima estimazione appo i Greci ricorriamo a voi ; noi che prima credevamo esser piuttosto in istato di accordar quello che ora vi vegnamo chiedendo. Ciò non pertanto non soffriamo questo per difetto di forze, nè per avere insolentito nell’ incremento di esse ; ma andammo falliti nei nostri disegui tutto che presi a misura di quelle che sempre avevamo ; nel qual caso può a tutti egualmente accader lo stesso. Laonde è a voi richiesto che attesa la presente fortezza della vostra Repubblica, sostenuta anche da nuovi acquisti , non vogliate darvi a credere che la fortuna abbia di continuo ad esser con voi. Perciocché prudenti sono tra gli uomini quelli che con sicuro consiglio pongono in ambiguo le prosperità ; stantecliè procederanno essi più saggiamente nelle disgrazie , stimeranno che la guerra non sempre andrà a lor talento qual che si sia il modo con cui uno voglia amministrarla, ma che anderà come la condurranno i destini ; e meno di tutti vacilleranno perchè non gonfiandosi per la fiducia del buon successo nella guerra stessa, le porranno termine quando è propizia la fortuna. Ciò che , Ateniesi, è per voi dicevol cosa adoperare con noi ; acciocché , se mai non andando di ciò convinti, in avvenire vi incolga qualche sinistro (come spesso succede), non s’abbia a credere che per mera fortuna abbiate tanto progredito nelle vittorie ; mentre sta in poter vostro tralasciare ai posteri stabile reputazione di fortezza e di senno.

« Ora i Lacedemoni vi invitano a tregua e scioglimento di guerra esibendovi pace, alleanza ed ogni altra maniera di generosa amistade e mutua fratellanza ; ma chiedono in cambio le loro genti dell' isola, reputando

migliore per entrambi non risicare , o che presentandosi laro qualche scampo abbiano a fuggirne a forza ; o che espugnati, abbiano a trovarsi in servaggio maggiore. Per nostro avviso le grandi inimicizie si dissolvono sopratutto sicuramente , non quando uno colle armi alla mano e superiore di molto in guerra , inlacciando forzatamente il nemico co’ giuramenti, si accordi con inique condizioni ; ma quando, tutto che possa adoprar così, nondimeno per usar condescendenza e vincerlo di cortesia si riconcilia a patti moderati oltre l’aspettativa del vinto. Allora l' avversario essendo obbligato non a vendicarsi come oppresso , ma a ricambiare di cortesia il suo emulo, è più presto a tenersi per sentimento d’ onore dentro ai limiti degli accordi. Lo che sogliono gli uomini adoperare più facilmente coi nemici più graudi, che con quelli coi quali abbiano avute leggere differenze; e sono inclinati per natura a ceder dal canto loro a chi volontario rallenti il suo rigore, e per contrario a pigliar gara anche a mal tempo con chi tropp’alto insolentisca.

« Inoltre questa nostra riconciliazione cade , se mai altre volte, decorosamente in acconcio per entrambi, prima che qualche immedicabile disastro trapponendosi di mezzo ci sorprenda , per cui noi, in aggiunta alla nazionale , fossimo astretti a nutrir una perpetua privala nimistà contro voi ; e prima che voi stessi restiate privi dei vantaggi a cui adesso vi confortiamo. Riconciliamoci adunque mentre le cose son tuttora in pendente ; mentre voi alla vostra gloria aggiungereste la nostra amicizia , e mentre noi prima di sopportar qualche disdoro, acconcieremmo discretamente la nostra sciagura. Scegliamo, sì, amendue pace invece di guerra, e procacciamo agli altri Greci requie dai mali, ed anche in ciò il merito sarà precipuamente vostro ; avvegnaché sieno essi in guerra, ignari chi di noi due l’abbia incominciata : che se ella

cesserà (e questo è più che altro in poter vostro) ne sapranno grado a voi soli. Insomma se ben discemete sta in voi di aver fermamente amici i Lacedemoni che a ciò vi invitano, non col forzarli ma col gratificarli. Riflettete quanti beni naturalmente si comprendono in questa riconciliazione , perocché, noi e voi dicendoci insieme , il rimanente di Grecia essendoci, ben sapete, inferiore, ci terrii in grandissima onoranza ».

Di tal tenore fu il discorso dei Lacedemoni, perchè credevano aver gli Ateniesi bramato per l' innanzi le tregue, ed esserne stati impediti dalla mala disposizione di Sparta : ora però offrendo pace speravano l’accetterebbero volentieri e renderebbero le genti dell’ isola. Ma gli Ateniesi col ritenere quelle genti stimavano avere in mano di che procacciarsi le tregue quando volessero , e più in alto intendevano. A ciò principalmente gli instigava Cleone figlio di Cleeneto , personaggio popolare in quel tempo ed alla plebe aggraditissimo. Egli fu che gl’indusse a rispondere « dover le genti dell’ isola render sè stesse e le armi, ed esser trasportate ad Atener giunte esse colà, i Lacedemoni restituissero Nisea y Pega, Trezene ed Acaia (terre non già conquistate, ma accordate loro nella prima convenzione dagli Ateniesi i quali allora per le proprie calamità abbisognavano assai di tregua); e cosi riavrebbero le loro genti e si farebbe tregua per quanto tempo piacesse ad ambe le parti ».

Non vollero i legati contradir nulla a quella risposta, ma pregavano si deputassero loro alcuni assesson, i quali parlando ed ascoltando intorno a ciascun articolo, convenissero di queto in ciò di che scambievolmente si persuadessero. Ma anche qui Cleone instava caldamente dicendo saper lui già di prima che coloro nulla di ginsto avevano nell animo, e bene esserlo manifesto anche adesso , mentre niente voglion dirne al popolo, e solo venire

a consesso con pochi : che se nulla di buouo seco ravvolgessero, ordinava parlassero a tutti. Laonde i Lacedemoni vedendo di non potere parlamentare al popolo, perchè se mai paresse loro bene (attesa la presente calamità) di accomodarsi con esso, temevano che parlando e non ottenendo l’intento sarebbero diffmati dagli alleati; e di più vedendo che non verrebbero eseguite le loro richieste a condizioni discrete , partirono da Atene senza effettuala cosa alcuna.

Al loro ritorno falliron subito le tregue di Pilo, ed i Lacedemoni , giusta il convenuto , ridomandavano le navi agli Ateniesi, i quali incaricandoli di assalti dati al castello contro raccordo, e di altre cose che non meritano il pregio di esser narrale, non le rendevano ; opponendo essersi stabilito che per quantunque piccola trasgressione sarebbono sciolte le tregue. I Lacedemoni negavan tutto ; e richiamandosi dell’ ingiustizia delle navi andarono a riprender la guerra, la quale vigorosamente si combatteva intorno a Pilo da ambo le parti. Di giorno gli Ateniesi circuivano continuamente l’isola con due navi «riscontro: di notte stavano con tutte in guardia all’intorno , tranne verso l’alto quando faceva vento ; ed erano a tal uopo arrivate ad essi altre venti navi da Atene, talché in tutte furono settanta. I Peloponncsi poi campeggiavano in terraferma e davano assalti al castello , spiando l’occasione , quando che si presentasse , di salvare le genti loro.

Frattanto i Siracusani e gli alleati di Sicilia , oltre le navi che presidiavano Messina, condussero ivi il resto della flotta che stavano allestendo , e di là uscivano |«r far la guerra , alla quale per odio contro i Reggini tirano principalmente stimolali da' Locresi, che già con tutto lo sforzo avevano assaltato le loro terre. \ olevano anche tentare una battaglia per mare, vedendo che gli

Ateniesi avevano piccola armata , e sentendo che una più grande, la qual dovea venirvi, era all’assedio della Sfatteria. Che se avessero vinto una battaglia navale speravano , che stringendo Reggio per terra e per mare , la ridurrebbono agevolmente in potestà loro, e fortificherebbono il proprio stato. Imperciocché essendo tra sé vicini il prò-montorio di Reggio in Italia, e Messina in Sicilia, non permetterebbero che gli Ateniesi vi approdassero, e si impadronissero dello stretto , il quale altro non è che il mare di mezzo a Reggio e Messina (ove la Sicilia è meno distante dalla terraferma) denominato Cariddi, per dove è fama che attraversasse Ulisse : e per la sua strettezza, e per il concorso dei due mari tirreno e siculo che ivi incontrandosi lo fanno rigurgitare , egli é giustamente stimato pericoloso.

Pertanto in questo spazio tramezzo, al tardi del giorno, i Siracusani e i loro alleati con poco più di trenta navi furono costretti a combattere, per cagione di una barca che traversava, avanzandosi incontro a sedici navi ateniesi e otto di Reggio : e vinti dagli Ateniesi tornarono frettolosamente , come ognuno potè , ai propri alloggiamenti di Messina e di Reggio colla perdita di una sola nave. La notte sopraggiunta pose fine al conflitto , dopo il quale i Locresi si ritirarono dal territorio de’ Reggini ' e le navi di Siracusa e degli alleati riunitesi alla Peloride che fa parte del messinese , ove erano anche le genti da piè, vi presero stazione. Gli Ateniesi poi ed i Reggini, viste le navi vuote, vogarono ad assalirle ; e per un ronciglio di ferro scagliatovi sopra perderono una nave, dalla quale i soldati fuggirono a nuoto. Quindi i Siracusani montarono sulle navi, e costeggiando mediante Talzaia per alla volta di Messina, andavano gli Ateniesi nuovamente ad affrontarli : se non che i nemici tiratisi all’alto tornarono ad assalir loro i primi, sicché perdono un’altra nave. Dipoi i Siracusani si

ricondussero nel porto di Messina senza aver avuta la peggio nè in questo tragitto, nè uel conflitto navale combattuto come dicemmo : e gli Ateniesi fecer vela per Camarina avuto lingua che Archia co’ suoi partigiani la renderebbe per tradimento ai Siracusani. Intanto i Messinesi con tutta l’oste andarono per la via di terra e di mare contro Nasso calcidico loro confinante. Il primo giorno, stretti i Nassii dentro le mura , saccheggiarono la campagna. Il dì seguente andando colle navi a seconda del tortuoso fiume Acesine guastavano la terra , e con la fanteria davano l’assalto a Nasso. Allora i Siciliesi di su i monti calavano in gran numero contro i Messinesi a soccorso dei Nassii, i quali a tal vista rinfrancandosi e animandosi tra loro , perchè credevano esser quelli i Leontini ed altri alleati greci che corressero in loro aiuto , si precipitano improvvisamente fuori di città, assaltano i Messinesi, gli sbaragliano e ne uccidono sopra mille : il resto penò a ritornarsene a casa ; perchè quei barbari scagliandosi loro addosso nelle strade ne trucidarono moltissimi. In seguito le navi che aveano preso porto a Messina tornarono ciascuna ai loro luoghi. I Leontini colla loro lega e con gli Ateniesi andarono drittamente contro Messina, profittando dello scoraggiamento di lei : e dandosi l’assalto gli Ateniesi fecero le loro prove dalla parte del porto colla fiotta, e la fanteria dall’altra parte della città. Ma i Messinesi, ed alcuni Locresi con Demotele, che dopo la ricevuta sconGlta v’erano stati lasciati di presidio, fecero una sortita , ed investendo repentinamente il nemico fugano gran parte dell’esercito de’ Leontini, coll’uccisione di molti. A tal vista gli Ateniesi scesero dalle navi per andare in soccorso, e piombando su i Messinesi disordinati gli perseguitarono fino alla città , ed eretto il trofeo ritornarono a Reggio. Dopo di che i Greci di Sicilia senza gli Ateniesi, seguitarono a guerreggiarsi in terra scambievolmente.

Ma a Pilo erano sempre i Lacedemoni assediati nell’ isola dagli Ateniesi, e il campo de’ Peloponnesi rimaneva in terraferma alle sue stanze. Riusciva travagliosissimo agli Ateniesi il guardare quell’ isola per la scarsità del frumento e dell'acqua ; perchè non vi avevano fontane, tranne una non grande propio nella rocca di Pilo : cosicché i più scavando la ghiaia presso il mare , ne bevevano acqua qual si può credere. A ciò si aggiugneva la strettezza dei luoghi per cui campeggiavano in piccolo spazio ; e le navi non trovando ove fermarsi, parte andavano a vicenda a foraggiare in terra, parte stavano al largo sulle ancore. Ma più di tutto gl' infastidiva la lunghezza del tempo che tuttavia si prolungava contro la loro espettazione, essendosi dati a credere che in capo di pochi giorni espugnerebbero la gente che in quell' isola deserta non aveva altro uso che di acqua salata. E questo prolungamento di tempo lo procuravano i Lacedemoni, i quali avevano promulgato che chiunque volesse, introducesse nell' isola grano macinato, vino, cacio, e se altro cibo vi era buono in caso di assedio ; promessa la libertà agli Iloti che lo introducessero, ed assegnato molto denaro agli altri. Laonde tra coloro che audacemente si arrischiavano per introdurvi roba, erano principalmente gl’ Doti che scioglievano da qualunque parte del Peloponneso ed approdavano , essendo ancor notte , là dove l' isola guarda verso l’alto, e badavano più che altro di esservi spinti dal vento ; attesoché quando soffiava dalla parte di mare più facilmente si celavano alla guardia delle triremi ateniesi , che non potevano allora posare attorno l’isola. Del rimanente erasi per costoro ridotto in uso l’approdare colà senza risparmiar nulla ; imperciocché erasi apposto il valsente alle navi che urtassero sulla spiaggia, e gli scali dell’isola eran guardati da’soldati di grave armatura. Contuttociò chi si arrischiava in tempo di bonaccia era preso.

Vi entravano ancora dei palombari di verso il porto , tirando seco con una corda degli otri entrovi papavero melato e linseme gramolato; lo che dapprima restò nascosto , ma poi furon messe le guardie : insomma s’ingegnavano al postutto gli uni di portar viveri , gli altri di scoprirgli.

Risaputosi in Atene il disagio dell’ esercito, e T introduzione del foraggio nell’ isola , stavano sopra pensiero e temevano che la vernata non dovesse cogliere colà le loro genti ; vedendo che oltre al trovarsi in luogo deserto, sarebbe impossibile portar loro i viveri col circuire il Peloponneso ( lo che non valevano a fare ne anche in estate per mandarvi il bisognevole); e che in quelle coste importuose non avrebbero le navi ove fermarsi : cosicché rallentandosi la guardia , o i prigioni dell’ isola la vincerebbero, o col favore d’una burrasca s’involerebbero sulle barche che vi portavano il grano. Ma ciò che più di tutto temevano era il vedere che i Lacedemoni trovandosi alquanto più forti non manderebbero più araldo ; e si pentivano della tregua non accettata. Onde avvistosi Cleone di esser preso in sospetto perchè avea attraversato l’accordo , disse che i messaggi arrivati in Atene non rapportavano il vero : ma questi esortando che se non credessero a loro, mandassero degli esploratori, e venendo a ciò deputato dagli Ateuiesi lo stesso Cleone insieme con Teogene, senti egli che o e’ dovrebbe dir lo stesso di quelli che calunniava , o dicendo il contrario comparirebbe mentitore. Però vedendo che la mente degli Ateniesi pendeva piuttosto per una nuova spedizione , suggeriva loro non vi esser bisogno di mandare esploratori, nè di perder tempo lasciando fuggir l' occasione : ma quando credan vere le nuove recate , si mettessero in mare per andar contro coloro. E per pugnere il generale Kicia figlio di Nicerato cui disamava , disse proverbiando : esser

facile colle forze presenti, se i capitani fosser uomini, navigare all’isola e prender quelle genti ; e bene egli vi riuscirebbe se avesse in mano il comando.

Ma Nicia mormorando il popolo contro Cleone perchè ei non fosse già in corso se ciò gli sembrava facile , ed insieme vedendosi punto da lui, lo confortava che prendesse pure quel rinforzo che più gli piacesse, e si accingesse ad andare contro le genti dell' isola. Cleone alla prima credeudo che ei facesse solo sembiante di cedergli si mostrava disposto ; poi visto che cederebbe in effetto si ricusava, e diceva non sè, ma lui essere il generale : imperocché era già venuto in paura, e non avrebbe mai potuto credere che Nicia avesse la fermezza di cedergli il posto. Questi glielo intimò di nuovo , e presi a testimonio gli Ateniesi rinunziò al comando di Pilo. Ed essi (al solito del popolo), quanto più Cleone si ricusava di imbarcare e ritirava le sue parole , tanto più imponevano a Nicia di rimettergli il comando ; e gridavano che s’ imbarcasse. Talché non sapendo egli come distrigarsi delle sue promesse , accetta la spedizione, e fattosi innanzi disse: che non temeva i Lacedemoni, e che si metterebbe in mare senza prendere alcuno di città , ma solamente i Lemnii e gl’Imbrii che si trovavano lì presenti, e i palvesari venuti in rinforzo da Eno , e quattrocento arcieri da altri luoghi. Protestò altresì che con queste forze aggiunte ai soldati che erano in Pilo, in venti giorni, o menerebbe vivi i Lacedemoni , o ve li truciderebbe. La sua leggerezza mosse un poco a riso il popolo ; ma fu gradita dalla gente assennata , considerando che uno di questi due beni ne otterrebbero , o di disfarsi di Cleone, come meglio speravano , o , se fallisse questa speranza , di sottomettersi » Lacedemoni.

Spedito egli il tutto nell’adunanza, ed eletto dagli Ateniesi a quell’ impresa, parti prontamente, dopo

avere scelto per suo collega Demostene, uno dei comandanti a Pilo , perchè aveva udito che desso meditava lo sbarco nell’ isola, al vedere che i soldati trovandosi male per la miseria del luogo , e piuttosto assediati che assediatili , anelavano di cimentarsi. Senza di che confermava Demostene in questa sua intenzione l' incendio accaduto nell’isola , la quale essendo quasi tutta boscosa e senza vie , perchè di continuo disabitata , lo metteva in timore , e parevagli che ciò fosse in vantaggio dei nemici ; essendoché se vi sbarcasse con molte genti, assalendolo essi da qualche luogo occulto , lo batterebbero. Infatti gli sbagli e le disposizioni di essi, atteso il bosco , non sarebbero a lui egualmente palesi, laddove gli sbagli del proprio esercito sarebbero tutti visibili j cosicché verrebbe inaspettatamente assalito ove più piacesse al nemico , in mano del quale stava l' assalire. D’altronde s’ ei forzasse il folto del luogo per venire alle prese, stimava che i meno, ma pratichi del posto, vincerebbero i più non pratichi, e che il suo esercito quantunque numeroso andrebbe senza accorgersene rifinito , mancando del prospetto necessario per soccorrersi scambievolmente.

E tali pensieri gli correvano nell’animo a cagione principalmente della sconfitta etolica cagionata in gran parte dalla selva. Ora però , attesa la strettezza dell’ isola, essendo i soldati nemici costretti a pranzare per precauzione quasi sulle coste di essa , ed avendo un tale appiccato il fuoco involontariamente a piccola porzione della selva, era poi sopravvenuto il vento onde gran parte di quella andò inavvertitamente bruciata ; e per questo potè Demostene meglio osservare che i Lacedemoni erano in maggior numero che non credeva ; quando prima sospettava clic per miuor gente s’ introducessero i viveri. Allora convinto che gli Ateniesi vorrebbero usare maggior premura contro un nemico non dispregevole , e vedendo che

l' isola offriva più facile sbarco di prima , preparava l’assalto , richiedeva di truppe i vicini alleati, ed apprestava tutte le altre cose. Intanto Cleone che aveva spedito innanzi ad avvisarlo eh’ ei giungerebbe colla soldatesca da lui domandata , arriva a Pilo : e trovatisi amendue insieme spediscono innanzi tratto un araldo al campo nemico in terraferma, confortando a voler ordinare a quei dell’isola , a scanso d’ogni pericolo, di render Tarmi e le persone, a condizione che sarebbero tenuti sotto discreta guardia, finche non si fosse convenuto della somma delle cose.

Poiché non fu accettata questa proposta, i capitani ateniesi soprassederono un giorno ; e il di seguente imbarcati su poche navi tutti i soldati gravi, partirono di notte; e poco prima dell’aurora scendevano nell’ isola, parte dal lato di essa che guarda l’alto , parte di verso il porto , da otto centinaia, che subito corsero addosso al primo corpo di guardia che si trovava nell’isola. Erano i nemici ordinati in tal guisa. Trenta in circa di grave armatura formavano questo primo corpo di guardia : Epitada capitano col grosso dell’esercito teneva il miluogo che era un piano intorno all’acqua dolce ; se non che una piccola porzione di sue genti guardava l' altra estremità dell' isola verso Pilo , che é scoscesa dalla parte di mare ed inespugnabile da quella di terra ; ove per soprappiu sorgeva un’ antica fortezza fabbricata con pietre scelte, della quale intendevano di giovarsi, caso che a viva forza fossero costretti di ritirarsi. Tale era la posizione dei Lacedemoni.

Gli Ateniesi che erano scesi nell’isola inosservati ( perche i nemici stimavano che quelle fossero le navi che al solito scorressero per guardar Pisola ) uccidono subito coloro che avevano assaliti mentre erano in letto , e mentre riprendevano le armi. E al nascer dell’aurora sbarcò dalle settanta navi , o poco più , tutto il resto

dell’esercito, salvo i rematori disottani, ciascuno dal canto suo armato, con più otto centinaia d’arcieri e bene altrettanti palvesari, e il rinforzo de’Messenii, e quanti stanziavano intorno a Pilo, tranne le guardie che custodivano il castello. Queste genti, secondo le disposizioni di Demostene , si spartirono in squadroni di dugento, ed or più ed or meno , occupando le più elevate parti de' luoghi , affinchè i nemici accerchiati per ogni lato si trovassero in grandissimo iiitricamento ; e non che sapessero a chi mostrare il viso , fossero anzi per ogni verso infestati dalla moltitudine : cosicché se urtassero di fronte, fossero percossi da quelli a tergo ; se di fianco, da quelli schierati su i due lati. Insomma dovunque il nemico si volgesse, avrebbe sempre alle spalle 1« milizie leggere , dalle quali è più difficile salvarsi, perchè mediante le frecce, gli strali, pietre e fionde hanno forza da lontano, e non v’è modo d’inseguirle; avvegnaché, fuggendo vincano, e cedendo il nemico, l' incalzano. Con questa mente Demostene da prima ruminava lo sbarco, e con tale poi lo regolò in effetto.