History of the Peloponnesian War
Thucydides
Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.
Intanto i Siracusani e gli alleati, poiché venne il giorno e si avvidero esser partiti gli Ateniesi, davano quasi tutti la colpa a Gilippo che a bella posta li avesse lasciati andare ; e messisi in fretta ad inseguirli per dove agevolmente seppero che si erano inviati, li raggiungono verso l’ora del desinare. Incontratisi in quelli di Demostene che erano gli ultimi e marciavano lenti e sbandati, perchè perturbati nella passata notte, subito li assaltano e vengono a battaglia ; ed i cavalli siracusani più agevolmente li circondarono perchè bipartiti, e li rinserrarono tutti insieme. Le genti di Nicia si erano già dilungate in avanti da centocinquanta stadii, perciocché egli le conduceva più sollecitamente, avvisando che in quello stato la loro salvezza dipendeva non già dal fermarsi volontariamente a combattere, ma dal ritirarsi il più presto possibile, pugnando soltanto quando vi fossero astretti; laddove Demostene essendo l’ultimo a retrocedere, e però avendo alle spalle i nemici, trovavasi in moltiplice e continovato travaglio. E sapendo allora che i Siracusani lo perseguitavano, non che cercasse di progredire si metteva piuttosto in ordine per la battaglia ; finché in quel tanto
da essi accerchiato, era in gran perturbazione insieme co’suoi Ateniesi ; conciossiachè rinchiusi in un tal luogo cui intorniava un muretto, e che avea quinci e quindi uno sbocco e non pochi ulivi, erano da quel cerchio saettati. E bene avean ragione i Siracusani a far di queste assembra glie invece che battaglie campali ; perchè il cimentarsi con gente disperata non tanto metteva lor conto quanto agli Ateniesi. Inoltre, essendo già manifesta la prosperità dell' impresa , si risparmiavano , onde non trovarsi essi medesimi distrutti per qualche caso prima di compierla ; e pensavano che anche con quel modo di combattimento arebber domati e presi i nemici.Quando adunque Gilippo , i Siracusani e gli alleati , dopo aver saettato da ogni parte per tutta la giornata gli Ateniesi co’ loro confederati, li videro oppressi dalle ferite e da ogni maniera di disagio , fanno da primo bandire che qualunque degl9 isolani volesse, passasse da loro col patto di restar libero ; ed alcune poche città vi passarono. Dipoi fecero accordo con tutte le altre genti di Demostene, con questo che consegnassero le armi, e che nessuno dovesse morire nè violentemente, nè in ceppi, nè per maneanza del vitto necessario. Cosi tutti si arresero in numero di seimila, depositarono quanto denaro avevano versandolo in degli scudi rivoltati, de’quali nempierono quattro. I soldati furono condotti in città. Il giorno medesimo Nicia pervenuto co9 suoi al fiume Erineo e guadatolo , fermò l’alloggiamento sopra un’altura.
Ma il di seguente avendolo i Siracusani raggiunto , gli contarono che le genti di Demostene si erano arrese , ed intimarono anche a lui di far lo stesso. Egli però non prestandovi fede pattuisce una tregua per mandare un cavaliere ad osservar la cosa ; il quale ritornò annunziando che s’erano arresi. Allora Micia fa intendere a Gilippo ed ai Siracusani che era pronto a convenire di rifare
ai Siracusani il denaro speso per la guerra, col patto che dovessero lasciare in libertà lui e l’esercito , e di dar loro in ostaggio per ogni talento uno de’più ragguardevoli degli Ateniesi , fino al pagamento del denaro. I Siracusani e Gilippo non ammisero queste proposizioni, anzi assalitili ed attorniatili da ogni lato li dardeggiavano fino a sera ; ed essi, quantunque si trovassero mancanti di frumento e di tutti i viveri, intendevano di partirsi giovandosi del silenzio della notte. Ripigliavano infatti le armi, quando i Siracusani avvistisi di ciò intuonarono il peana : onde conoscendo gli Ateniesi d’essere scoperti posarono nuovamente le armi, salvo trecento persone che , apertosi un passaggio attraverso le sentinelle nemiche, marciarono nella notte per quella via che poterono.Venuto appena giorno Micia muoveva l’esercito ; ed i Siracusani con gli alleati lo incalzavano nel modo stesso, e da ogni banda scagliavano dardi e saette. Affretta vansi gli Ateniesi di arrivare al fiume Assinaro perchè assaltati da tutte le parti da numerosi cavalli e dall’altra moltitudine, pensavano di doversi trovar meglio quando lo avesser guadato ; e perchè erano oppressi dalla fatica e dalla sete. Pervenuti in sulla sponda di quello, vi si precipitan dentro senz’ordine veruno, studiandosi ciascuno di guadarlo il primo; ma i nemici che sta van loro a ridosso rendevano ornai difficile il tragittarlo. Tmperciocché costretti a camminar serrati cadevano l’un sopra l’altro é si pestavano, e parte morivano urtati dalle lanciole e dall’ armi , parte cadati nella melmetta erano trascinati via dalla corrente. Passarono i Siracusani alla riva opposta che era scoscesa, e di sopra scagliavano dardi su gli Ateniesi, molti de’quali avidamente bevevano, e giù nell’alveo del fiume erano tra loro stessi abbaruffati ; e i Peloponnesi calati al basso faceano sopra tutto strage di quelli che si trovavano nel fiume. L’acqua fu subito guasta , nondiro
meno ell’era bevuta lorda di fango insieme e di sangue, e molti per averla combattevano.Finalmente gran quantità di cadaveri giacendo ammontati nel fiume, e disfatto l' esercito o nel fiume stesso, o dai cavalli se qualche banda si fosse causata , Nicia , fidandosi più di Gilippo che dei Siracusani, si rende alla discrezione di lui e de9 Lacedemoni, pregandolo a ritirar dalla strage anche il rimanente dell’esercito. Dopo di che Gilippo ordinava ai suoi che i nemici fossero fatti prigionieri ; e vivi condussero via tutti quelli che uon si erano nascosti (e questi furono molti), e spedirono ad inseguire i trecento passati a forza di mezzo alle sentinelle, e li arrestarono. i\è già furono molte queste milizie accolte insieme, ma bensì molte si trafugarono, e ne fu ripiena tutta Sicilia, non essendo esse state prese per convenzione come quelle di Demostene. Una buona parte dell’ esercito ateniese vi rimase morta, che certo questa strage non fu minore di verun’ altra accaduta in questa guerra di Sicilia ; e non pochi erano periti ne'diversi passati attacchi, durante il cammino. Con tutto questo molti o fuggirono nel tempo della battaglia, o si trafugarono poi dopo essere stati fatti prigioni ; e tutti si riducevano a Catana.
I Siracusani e gli alleati riunitisi insieme , e preso il più che poterono di prigionieri e di bottino, ritornarono alla città, fecero scendere i prigioni tanto ateniesi che confederati nelle cave delle pietre , giudicando sicurissimo il guardarli colà ; e scannarono Nicia e Demostene, a malgrado di Gilippo, siccome quegli che reputava trionfo a se stesso onorevole il condurre ai Lacedemoni, oltre alle altre spoglie , anche i capitani dell’oste nemica. Senza di che si dava il caso che Demostene era odiatissimo a Sparta a cagione de’ fatti della Sfatteria e di Pilo, e Nicia accettissimo pel motivo medesimo ; avvegnaché egli si fosse
adoprato moltissimo pei Lacedemoni ritenuti peli’ isola, eoa aver persuaso gli Ateniesi a far le tregue per cui i prigioni erano stati rilasciati. Laonde era benvoluto dai Lacedemoni, e con grandissima fiducia si era reso a Gilippo. Ma alcuni fra i Siracusani (come correva voce) sospettando , per aver tenuto delle pratiche con lui che, se per questo fosse messo alla tortura , non arrecasse loro qualche disturbo in mezzo a quella felicità ; altri, e principalmente i Corintii, che corrompendo qualcuni col denaro (perchè era ricco) non iscappasse, e procurasse loro qualche altra novità, tirarono a sè gli animi dei confederati e lo uccisero. Tale, o presso a poco altrettale , fu la cagione onde restò ucciso Nicia , il meno meritevole certamente fra tutti i Greci, non che altro de’miei tempi, di venire a tanta sciagura, per la sua costante pietà verso gli Dei.I prigionieri che erano nelle cave in principio venivano duramente trattati dai Siracusani. Imperciocché, trovandosi molti in quel luogo profondo e scoperto, il sole ed LI soffocamento li opprimeva ; ed all’opposto le notti autunnali e fredde causavano malattie di nuovo genere: tanto più che per la ristrettezza doveano far tutto nel medesimo luogo, e Tua sull’altro giaceano sovrapposti i cadaveri di quelli che o per ferite, o per questa mutazione , o per altre simili cagioni morivano. Se a ciò si aggiunga una puzza insoffribile, ed il tormento della fame e della sete, perchè per otto mesi ebbero una cotila d’acqua e due di frumento a testa, si vedrà non esser eglino andati esenti da veruno di quelli incomodi che naturalmente doveano opprimere gente gettata in luogo si fatto. In questo modo stivati passarono circa settanta giorni, dipoi tutti gli altri, tranne gli Ateniesi e quei Siciliani ed Italiani che militarono con loro, furono venduti. E sebbene sia difficile lo scrivere esattamente quanti fossero in
tutti i prigionieri, nondimeno non potevano esser meno di sette migliaia. Questo tra i fatti greci fu per avventura il più strepitoso di quanti intervennero in queste guerra , ed a mio credere anche più di quanti ne sappiamo per udita ; e sovra ogni altro splendidissimo pei vincitori, e calamitosissimo ai vinti. Conciossiachè vinti in tutto e per tutto e da ogni parte gravemente afflitti, e fanti e navi andarono , come suol dirsi, in fumo ; nulla campò dall' esterminio , e pochi di tanta moltitudine tornarono alla patria. Tale fu il successo dell' impresa siciliana.Portate ad Atene le novelle di Sicilia, per lunga pezza «kob si credeva poter essere stato sì generale l’eccidio, quantunque «oldati ragguardevolissimi scampali propio dalla battaglia lo contassero apertamente. Ma poi accertatisi del fatto, erano turbati contro gli oratori che gli avevan confortati a quella spedizione {come se non l’avessero essi medesimi decretata), e si adiravano con gli arioli e gli aruspici , e con tutti quelli che allora eccitandoli mediante qualche sacra ispirazione, aveano lor fatto sperare la conquista di quel paese. Tutto per ogni parte li attristava , e pensando all’accaduto erano circondati da timore e sbigottimento veramente grandissimo. Imperocché trovavansi afflitti i cittadini dalle proprie perdite, e ia Repùbblica orbata di numerosa fanteria e cavalli, e di coiai gioventù alla quale altra simile non rimaneva : ed insieme non vedendo essi navi a sufficienza negli arsenali, nè equipaggio per corredarle, nè denari nell’erario, dispera vano al presente di potersi salvare. Oltre a ciò si aspettavano
che ad ora ad ora i nemici di Sicilia, specialmente dopo sì segnalata vittoria, navigherebbero contro il Pireo, e che quei di Grecia raddoppiati allor daddovero tutti g£ apparecchi, tosto li stringerebbero vigorosamente per terra e per mare, d’accordo con gli alleati che ad Atene si ribellerebbero. Ciò nondimeno determinarono, per quanto restava loro di forze, di non doversi dare per vinti, ma di mettere in ordine la flotta raccogliendo legname e denaro dondechè si potesse ; rendersi sicuri degli alleati, e in ispecie dell’ Eubea ; ridurre ad una certa parsimonia le spese del Comune ; e creare un magistrato di personaggi provetti che all’occasione fossero i primi a dar consiglio sull’attuale stato delle cose. Insomma per il presente grave timore (come suol fare il popolo) erano pronti a mantenere in tutto il buon ordine. Mettevano intanto ad effetto le prese risoluzioni e finiva l’estate.Nel seguente inverno al gran tracollo degli Ateniesi in Sicilia, sollevarono subito l’animo i Greci tutti : quelli che stavano neutrali, perchè pensavano (anche non invitati ) non doversi più tener fuori di quella guerra, ma esser tempo di andare volontariamente contro gli Ateniesi , avvisando ognuno che questi sarebbero venuti contro di loro, se l’impresa siciliana fosse riuscita prosperamente , e reputando che breve avrebbe dovuto essere il rimanente della guerra, il pigliar parte alla quale sarebbe onorevole : quelli poi che erano in lega con Sparta, perchè tutti studiavarisi più di prima a liberarsi prontamente dai molli loro travagli. Ma principalmente i vassalli degli Ateniesi erano pronti, anche al di là delle proprie forze, a ribellarsi, perchè giudicavano delle cose nel bollor della passione, e non davano luogo al pensiero che gli Ateniesi potessero sostenersi almeno per l’estate futura. Per tutte queste cagioni inanimivasi la città degli Spartani ; e soprattutto perchè gli alleati di Sicilia, astretti già a fornirsi anche
e di flotta , verrebbero a primavera (com’era verisimile) ad unirsi a loro con grandi forze. Laonde trovando da per tutto cagione a bene sperare, intendevano di ripigliar la guerra a viso aperto ; considerando che andando ella a finir bene, sarebbero in avvenire disciolti da pericoli cotanto gravi, come quello in che li avrebbero avvolti gli Ateniesi se si fossero aggiunti la Sicilia ; e che domati questi , essi avrebbero ornai sicuramente il principato su tutta la Grecia.Il perchè Agide loro re subito in questo inverno medesimo mossosi con qualche esercito da Decelia, andava raccogliendo denaro dagli alleati per la flotta; c voltatosi al seno Meliaco, a cagione dell’antica inimicizia , fece gran preda sugli Etei e la mise in contanti ; costrinse a dar denaro ed ostaggi (cui depositò a Corinto) i Ftioti d’Acaia ed altri di quei luoghi sudditi de? Tessali, con rammarico e dispiacimento de’Tessali, e si sforzava di tirarli nella sua lega. I Lacedemoni imposero alle diverse citta di costruir cento navi, venticinque delle quali toccherebbero a costruire ad essi Lacedemoni, ed altre venticinque a’Beozii ; ai Focesi ed ai Locrii quiudici, e quindici ai Corintii ; agli Arcadi, ai Pellenii e Sicionesi dieci, e dieci pure ai Megaresi, Trezenii, Epidaurii ed Ermionesi. Preparavano ancora tutte le altre cose, risoluti di ricominciare subito la guerra a primavera.
Medesimamente gli Ateniesi in quest’inverno si apparecchiavano, giusta i conceputi disegni, a fabbricar navi, essendosi provvisti di legname; e munirono Sunio, acciocché le loro annonarie potessero sicuramente farne il giro. Abbandonarono il forte che aveano fabbricato nella Laconia all’occasione del passaggio in Sicilia, ristrinsero tutte quelle spese che in qualche modo sembravano superflue , c soprattutto tenevan guardati gli alleati perchè non si ribellassero.
Mentre che le due partì attendevano a queste cose, e davano opera agli apparecchi non altrimenti clic se fossero al cominciar della guerra, gli Eubeesi, i primi in quest' inverno, inviarono un’ambasceria ad Agide per trattar di ribellarsi agli Ateniesi ; il quale prestò orecchio alle loro parole, e mandò chiamando da Sparta Alcamene di Stenelaida e Melanto per dar loro nelle mani il comando dell' Eubea. Erano già arrivati costoro con circa trecento Neodamodi, ed Agide si preparava a farli partire ; quando giunsero anche i Lesbii invogliati essi pure di far la ribellione. E siccome erano favoriti da’Beozii, però Agide si lasciò indurre a sospendere l’aifare dell’ Eubea, e concertava la ribellione de5 Lesbii, dando loro a prefetto Alcamene» quello stesso che dovea tragittare nell’Eubea.
I Beozii fecero promessa ai Lesbii di dieci navi, ed Agide di altrettante. Tutte queste cose si facevano senza la saputa di Spana, avvegnaché Agide, finché si trattenne col suo esercito a Decelia, fosse padrone di spedir genti ovunque volesse, e di radunarne, e di esiger denaro ; e, per dirla, gli alleati obbedivano assai più lui che non i Lacedemoni di città, perchè coll’esercito che aveva seco da per tutto mostravasi formidabile. Egli adunque faceva per i Lesbii. I Chii e gli Eritrei, che anch’essi eran pronti a ribellare , non si volsero ad Agide ma a Sparta, ove trovarono un ambasciatore spedito da Tissaferne che a nome del re Dario, figliolo di Artaserse, governava le provincie inferiori. Sollecitava Tissaferne i Peloponnesi, e prometteva di pagar egli gli stipendii, per i seguenti motivi. Gli aveva il re poco fa richiesto i tributi di quelle sue provincie; ed ei non avendoli potuti riscuotere dalle città greche a cagione degli Ateniesi, e restando tuttor debitore, sperava che affliggendo gli Ateniesi più facilmente gli sarebbero portati i tributi, e che insieme renderebbe i Lacedemoni alleati al re ; e secondo gli ordini che da
«¿so aveva, o gli condurrebbe vivo Armoge figlio bastardo di Pissutne, che si era ribellato nella Caria, o lo ucciderebbe. I Chii adunque e Tissaferne andavano di concerto in questa cosa.
Ma Calligeto di Laofonte megarese, e Timagora di Atenagora ciziceno, ambidue esuli dalla propria patria e ricovrati presso Farnabazo di Farnabaco, giungono in quella occasione a Sparta, ove gli avea mandati Farnabazo per ottenere che i Lacedemoni conducessero delle navi nell' Ellesponto, acciocché egli potesse (siccome desiderava ardentemente anche Tissaferne) ribellare agli Ateniesi le città della sua provincia per cavarne i tributi, ed acciocché per opera sua si stringesse sollecitamente alleanza fra il re ed i Lacedemoni. Ora siccome i legati di Farnabazo e quelli di Tissaferne trattavano separatamente delle medesime cose, surse gran disputa fra quei di Sparta , persuadendo gli uni che si spedisse prima la flotta nell' Ionia ed a Chio, gli altri nell’Ellesponto. Tuttavia i Lacedemoni ben più volentieri accolsero le dimande di Tissafeme e de’Chii, perchè spalleggiati anche da Alcibiade congiunto per strettissimo vincolo di ospitalità paterna coll’eforo Endio ; onde per questa ospitalità la sua casata ebbe un nome laconico, avvegnaché il padre d1 Endio si chiamasse Alcibiade. Contuttociò i Lacedemoni vollero prima mandare a Chio Frinì, persona di quei dintorni, per osservare se avessero le navi che dicevano , e se nel resto la città fosse in opulenza corrispondente al suo credito. Ed avendo Frini riferito esser vere tutte le cose che si sentivano dire , si fecero subito alleati i Chii e gli Eritrei, e decretavano di mandar loro quaranta navi, nella fiducia che non meno di sessanta se ne accoglierebbero dai luoghi accennati dai Chii. Da primo però volevano spedirne dieci con Melancride che era l’ammiraglio ; ma poi, venuto un terremoto, inviarono Calcideo invece di Melancride ; e in-
vece di dieci navi ne allestirono cinque nella Lacouia. Così finiva l’inverno e Tanno decimonono di questa guerra descritta da Tucidide.Al sopravvenir dell’estate subitamente i Chii insistevano che le navi si spedissero, perchè temevano che queste pratiche non venissero a risapersi dagli Ateniesi, di nascosto ai quali tutti mandavano i loro legati a Sparta. Laonde i Lacedemoni inviarono a Corinto tre personaggi spartani a procurare al più presto possibile di trasportar le navi di sull’ istmo all’altro mare che guarda Atene , ed ordinare che tutte navigassero a Chio, tanto quelle che si allestivano da Agide per Lesbo, quanto le altre. Trentanove in tutte furono le navi delle città alleate, che colà si trovarono.
Calligeto pertanto e Timagora, a nome di Famabazo, ricusarono di pigliar parte alla spedizione per Chio f e non consegnarono i denari recati per allestir la flotta, che eran venti talenti, ma si consigliarono di andarvi dopo da per sè con altro naviglio. Agide anch’egli, al vedere i Lacedemoni inclinati soprattutto a Chio , non volle opporvisi. Adunatisi adunque gli alleati in Corinto e tenutovi consiglio, stabilirono di navigar prima a Chio sotto il comando di Calcideo che aveva allestite le cinque navi nella Laconia ; dipoi a Lesbo pigliando a capitano Alcamene, quello stesso che Agide voleva mandarvi; e finalmente arrivare nel~ T Ellesponto, per dove era stato eletto ammiraglio Clearco di Ramfia. Innanzi però doveasi trasportare di sull' istmo la metà delle navi e farle subito pigliar mare , affinchè gli Ateniesi avessero l’occhio più a queste, le quali si mettevano in corso, che non al Fai tre che si trasporterebbero dipoi. Imperciocché i Lacedemoni navigavano apertamente in queste parti, dispregiando la debolezza degli Ateniesi, de’quali non vedevasi alcun’armata numerosa. Ed avendo così risoluto, trasportarono subito ventuna nave.
Allora i Lacedemoni sollecitavano i Corinlii a spedir la loro armata ; ma quelli non seppero indursi a navigar con loro prima d’aver celebrato le feste istmiche che allora ricorrevano. Agide, perchè non violassero la tregua che durava nel tempo di quelle feste, proponeva loro che piglierebbe sopra di sè la spedizione della (lotta ; al che non avendo acconsentito i Corintii, e però trappostosi dell’ indugio, poterono gli Ateniesi meglio intendere le trame de’Chii; e mandarono Aristocrate, uno de’ loro generali , a dolersene. E siccome i Ghii stavano in sulla negativa , gli Ateniesi ordinarono loro di mandar seco delle navi per gaggio dell alleanza, ed essi ne mandarono sette. Ed a far ciò s’indussero i Chii, perchè ignorando il popolo questi maneggi, i pochi che ne erano consapevoli non volevano in verun modo aver nemica la plebe prima d’avere in mano qualche cosa di sicuro, e perchè si aspettavano che i Peloponnesi, dopo quell’ indugio, uon verrebbero altrimenti.
In questo si celebrarono le feste istmiche; e siccome erano state promulgate, vi assistettero anche gli Ateniesi ; e così meglio si chiarirono dei disegni de’Chii. Tornati a casa disponevano subito le cose in modo che la flotta corintia non potesse partir da Cencrea furtivamente ; ma i Corintii, passata la festa, fecero vela con ventuna nave per alla volta di Chio sotto la condotta di Alcamene. Gli Ateniesi, che erano già venuti ad incontrarli con altrettante navi, volevano tirarli all’alto ; se non che seguitati solo per breve spazio dai Peloponnesi, che poi giraron di bordo, dovettero anch’essi ritirarsi, perchè non si fidavano delle sette navi chie che erano tra le loro. Dipoi armate altre trentasette navi , ed avanzandosi piaggia piaggia, inseguivano il nemico (ino a Pireo del territorio corintio , che è un porto deserto e l’ultimo che si trovi nei confini del territorio epidauriese. Vi perderOno i Peloponnesi
tuia nave che avea preso il largo ; e con l?altre riunite entrarono nel porlo. Quivi assaliti colle navi dagli Ateniesi che sbarcarono anche a terra , trovaronsi in grande e disordinato tumulto ; ebbero la maggior parte delle navi fracassate da quelli che erano scesi a terra, e vi rimase morto il loro ammiraglio Alcamene. Pochi furon quelli che perirono dalla parte degli Ateniesi.I quali finalmente separatisi schierarono in osservazione delle navi nemiche un Numero sufficiente delle loro, e col rimanente si trassero ad un’ isoletta non molto lontana, ove si accamparono, e spedirono ad Atene per dei rinforzi, avvegnaché il giorno appresso fossero arrivati i Corìntii in soccorso delle navi peloponnesie, e non guari dopo anche gli altri circonvicini. Laonde, vedendo che sarebbe malagevole il tenersi sulle difese in quel luogo deserto, stavano perplessi, ed ebbero il pensiero di abbruciare le navi ; ma poi risolvettero di tirarle a terra e guardarle, standovi d’appresso colla fanteria, finché non si presentasse qualche comoda occasione di scampo. Agide informato di ciò, mandò loro un personaggio spartano per nomeTermone. Tornando ora ai Lacedemoni, erano essi stati ragguagliati della partenza delle navi dall’istmo (perchè appena che ella seguisse, Alcamene aveva ordine dagli Efori di mandarne l’avviso per un cavaliere), e subito si disponevano a spedir le loro cinque navi sotto la condotta di Calcideo insieme con Alcibiade. Mentre però stavano esse per partire, ebbero la nuova che la flotta peloponnesia erasi dovuta rifugiare in Pireo ; onde scoraggiatisi chè al primo muover della guerra ionica fossero incappati male, pensavano di non mandare altrimenti le navi dal loro paese, e piuttosto di richiamar indietro quelle che già si erano avviate.
Alcibiade inteso questo »’toma a persuadere Endio e gli altri Efori che non dovessero porsi giù dalla
spedizione di quelle navi, dicendo che arriverebbero a Chio, prima che colà nulla fosse trapelato intorno alla flotta peloponnesia ; e che egli medesimo, approdato che fosse nella Ionia, di leggeri recherebbe le città a ribellarsi, col far palese la debolezza degli Ateoiesi e lo zelo dei Lacedemoni ; imperocché ad esso più che a tutta!tri daranno fede. E ad Endio in privato facea vedere come sarebbegli decoroso che la Ionia si ribellasse per opera sua, ed il re si facesse alleato dei Lacedemoni, piuttostochè lasciare questo vanto ad Agide , del quale egli era nemico. Persuasi adunque cosi gli altri Efori ed Endio, partì Alcibiade con le cinque navi« accompagnando Calcideo lacedemone ; ed affrettavano la navigazione.Verso questo tempo medesimo ritornavano cou Gilippo dalla guerra di Sicilia anche le sedici navi peloponnesie, che sorprese intorno alla Leucadia erano state travagliate da ventisei triremi attiche comandate da Ippo • de di Menippo , deputato ad osservare il ritorno dei uavigli dalla Sicilia. Tutte le altre, tranne una , sottraUesi agli Ateniesi, erano approdate a Corinto.